Monsignore – Maurice Descotes. Edizioni Paoline 1955.
Collana “I Romanzi del Prete” numero 5.
“Il mio regno – disse Gesù a Pilato – non è di questo mondo”. Questo significa che la Chiesa deve disinteressarsi delle vicende storiche? Certamente no, perché in tal caso essa mancherebbe alla sua missione, che è di salvare l’uomo e il mondo, e del resto il Pontificato Romano ha la sua qualifica più icastica nella figura del timoniere della nave mondana: se il timoniere non vede dinanzi e intorno a sé, sbaglia direzione. Fino a che punto dunque la Chiesa e i suoi ministri devono inserirsi nella vita temporale? Dov’è il limite di confine tra la religione e la politica? Sono questi gli interrogativi ai quali Maurice Descotes tente di dare una risposta con questo vibrante romanzo che nasce e vive nel clima rovente della lotta partigiana. L’Abbé Brachet, il protagonista, è un pupillo di Mons. Ferriot, che l’ha allevato allorché egli s’è trovato solo al mondo, ancora in fasce. Giunto al sacerdozio per vie tormentate, l’Abate Brachet al crollo della Francia si trova naturalmente a capo dei maquisard di tutta una regione. Il suo vescovo è leale con gli invasori, perché il governo di Vichy ha fatto in parte giustizia alla Chiesa, mutilata e umiliata dagli anticlericali aborigeni. Tra i due sorge un conflitto insanabile non di dottrina né di ascetica, ma unicamente di… politica.
Titolo originale: Monseigneur.
Traduzione: Maria Vittoria Carossini.
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