Don Giovanni in Sicilia – Vitaliano Brancati.
Edizione speciale per La Repubblica.
La Biblioteca di Repubblica. Novecento, volume 68.
Pubblicato nel 1941, in piena guerra mondiale, Don Giovanni in Sicilia si segnalò subito come un romanzo decisamente eccentrico. Del tutto immune dalle vibranti pagliacciate nazionalistiche che infuriavano in quel tempo, metteva a fuoco con le armi dell’ironia e della comicità una condizione di indifferenza, di apatia, di crasso e modesto edonismo: una condizione osservata e analizzata nei comportamenti di certa borghesia siciliana, ma facilmente eleggibile a poderosa colonna portante del carattere di un “italiano medio” che invece si voleva guerriero, o santo, o navigatore. La vita del protagonista Giovanni Percolla, quarantenne e benestante scapolo catanese, si svolge tutta sotto il segno della fuga dalle responsabilità: accudito di tutto punto da tre sorelle nubili, egli passa i suoi giorni fra pasti abbondanti, lunghi pisolini pomeridiani e interminabili chiacchiere con gli amici, aventi come unico tema le donne. Poi però si innamora, si sposa e si trasferisce a Milano per iniziare una nuova vita. Qui egli sembra abbracciare con entusiasmo le abitudini “continentali”: mangia meno, dimagrisce, rinuncia al pisolino. Ma gli basterà tornare una volta in Sicilia, nella vecchia casa con le tre sorelle, per precipitare di nuovo nelle vecchie abitudini, e presumibilmente per non staccarsene mai più. Ampiamente venato di sulfureo sarcasmo, il romanzo disegna lo spietato diagramma di una sconfitta storica ed esistenziale, del progressivo trionfo di un inesorabile vuoto d’essere. Ma lo fa con squarci di irresistibile divertimento e, si direbbe, con la sovrana pietà di un sorriso tanto consapevole quanto, nel fondo, amaro.

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